Sylvania FB 1b
1960 - 1970
inventario
IGB-9286
autori
Sylvania
(produttore)
collocazione
deposito
descrizione
Ciascuna di queste nove lampade, di piccole dimensioni, è in vetro ed ha forma cilindrica.
All'interno di ciscuna lampada è presente un filamento metallico.
Frontalmente è
bollino blu per indicare se malfunzionamento???
dallo zoccolo in vetro escono due estremità dei filamenti
cappuccio in plastica sullo zoccolo
sono nove infilate in un cartoncino
il tutto in una scatoletta in cartone con tabella che indica con le diverse sensibilità delle pellicole le distanza d'uso del flash (da 1,5 a 5,5m)
Le lampade al magnesio vennero utilizzate a partire dal 1865 anche se il magnesio era molto caro e la sua attinicità mal si coniugava con la sensibilità spettrale delle emulsioni fotografiche.
Agli inizi del '900, con la nascita delle pellicole pancromatiche e la produzione industriale del magnesio che ne abbassò i costi, il lampo al magnesio si diffuse rapidamente.
Queste lampade consistevano in contenitori attrezzati per bruciare polvere di magnesio. Il flash di queste lampade produceva molto fumo e polveri di ossido di magnesio. Questo inconveniente venne superato con il brevetto di Erwin Quedenfeldt che nel 1900 presentò una lampada simile a quelle a bulbo in vetro per l'illuminazione elettrica che conteneva polvere di magnesio sopra al filamento che ne avrebbe causato l'accensione.
Naturalmente questo tipo di lampade flash non prevedeva alcuna sincronizzazione tra accensione della lampada e scatto dell'otturatore.
Un passo avanti fu la diffusione delle pile a secco utilizzate per l'accensione elettrica delle lampade.
Un altro avvenne nel 1929 quando la lampada Vakublitz fu prodotta da Johannes Ostermeier su progetto di Paul Vierkotter. Egli inizialmente aveva ideato un filamento di magnesio contenuto in un bulbo contenente ossigeno a bassa pressione (1925) ma, nel 1927, aveva sostituito il magnesio con dei foglietti di alluminio. La Vakublitz si diffuse rapidamente e prodotti analoghi furono messi in commercio dalla General Electric (Sashalite, 1930) e dalla Philips (Photoflux, 1933).
Quest'ultima introdusse un'utile novità per la sicurezza del fotografo: una macchia di colore che permetteva di stabilire la tenuta del vetro e scartare le lampade che sarebbero potute esplodere al momento dell'accensione.
Nel 1935 la reflex Exakta (modello B) fu la prima macchina fotografica ad essere dotata di serie dei contatti elettrici per l'accensione del flash e alla fine del decennio l'utilizzo del flash a lampadine era diventato accessibile anche alle macchine economiche. Negli anni '50 la sincronizzazione era a disposizione sulla maggior parte delle macchine fotografiche.
Nel frattempo la dimensione delle lampade si stava riducendo progressivamente fino a permettere l'integrazione del flash nel corpo della macchina stessa.
Nel 1966 il Cuboflash dette il via all'ultima evoluzione di lampade al magnesio. Basato su 4 lampade AG1 alloggiate in una scatoletta di plastica, esso costituiva di fatto 4 flash indipendenti, completi di riflettore e assolutamente sicuri contro le esplosioni.
Nel frattempo, fin dal 1930, periodicamente era stato ripreso lo studio del flash elettronico basato su una scarica elettrica ad alta tensione in un tubo di vetro contenente un gas (tipicamente xenon) e i primi flash elettronici erano apparsi in commercio a partire dal 1940. All'inizio si trattava di ingombranti attrezzature da studio ma verso il 1950 essi divennero trasportabili e poi più compatti e leggeri con l'invenzione del transistor.
Verso il 1960 i flash elettronici avevano reso obsoleti i flash al magnesio professionali mentre quelli economici, per le fotocamere compatte, sopravvissero approssimativamente fino al 1980. Tuttavia per tutti gli anni '70 molte fotocamere professionali, quali ad esempio la Olympus OM-2 e la Hasselblad 500 CM, offrivano ancora la sincronizzazione per le lampade lampo.
All'interno di ciscuna lampada è presente un filamento metallico.
Frontalmente è
bollino blu per indicare se malfunzionamento???
dallo zoccolo in vetro escono due estremità dei filamenti
cappuccio in plastica sullo zoccolo
sono nove infilate in un cartoncino
il tutto in una scatoletta in cartone con tabella che indica con le diverse sensibilità delle pellicole le distanza d'uso del flash (da 1,5 a 5,5m)
Le lampade al magnesio vennero utilizzate a partire dal 1865 anche se il magnesio era molto caro e la sua attinicità mal si coniugava con la sensibilità spettrale delle emulsioni fotografiche.
Agli inizi del '900, con la nascita delle pellicole pancromatiche e la produzione industriale del magnesio che ne abbassò i costi, il lampo al magnesio si diffuse rapidamente.
Queste lampade consistevano in contenitori attrezzati per bruciare polvere di magnesio. Il flash di queste lampade produceva molto fumo e polveri di ossido di magnesio. Questo inconveniente venne superato con il brevetto di Erwin Quedenfeldt che nel 1900 presentò una lampada simile a quelle a bulbo in vetro per l'illuminazione elettrica che conteneva polvere di magnesio sopra al filamento che ne avrebbe causato l'accensione.
Naturalmente questo tipo di lampade flash non prevedeva alcuna sincronizzazione tra accensione della lampada e scatto dell'otturatore.
Un passo avanti fu la diffusione delle pile a secco utilizzate per l'accensione elettrica delle lampade.
Un altro avvenne nel 1929 quando la lampada Vakublitz fu prodotta da Johannes Ostermeier su progetto di Paul Vierkotter. Egli inizialmente aveva ideato un filamento di magnesio contenuto in un bulbo contenente ossigeno a bassa pressione (1925) ma, nel 1927, aveva sostituito il magnesio con dei foglietti di alluminio. La Vakublitz si diffuse rapidamente e prodotti analoghi furono messi in commercio dalla General Electric (Sashalite, 1930) e dalla Philips (Photoflux, 1933).
Quest'ultima introdusse un'utile novità per la sicurezza del fotografo: una macchia di colore che permetteva di stabilire la tenuta del vetro e scartare le lampade che sarebbero potute esplodere al momento dell'accensione.
Nel 1935 la reflex Exakta (modello B) fu la prima macchina fotografica ad essere dotata di serie dei contatti elettrici per l'accensione del flash e alla fine del decennio l'utilizzo del flash a lampadine era diventato accessibile anche alle macchine economiche. Negli anni '50 la sincronizzazione era a disposizione sulla maggior parte delle macchine fotografiche.
Nel frattempo la dimensione delle lampade si stava riducendo progressivamente fino a permettere l'integrazione del flash nel corpo della macchina stessa.
Nel 1966 il Cuboflash dette il via all'ultima evoluzione di lampade al magnesio. Basato su 4 lampade AG1 alloggiate in una scatoletta di plastica, esso costituiva di fatto 4 flash indipendenti, completi di riflettore e assolutamente sicuri contro le esplosioni.
Nel frattempo, fin dal 1930, periodicamente era stato ripreso lo studio del flash elettronico basato su una scarica elettrica ad alta tensione in un tubo di vetro contenente un gas (tipicamente xenon) e i primi flash elettronici erano apparsi in commercio a partire dal 1940. All'inizio si trattava di ingombranti attrezzature da studio ma verso il 1950 essi divennero trasportabili e poi più compatti e leggeri con l'invenzione del transistor.
Verso il 1960 i flash elettronici avevano reso obsoleti i flash al magnesio professionali mentre quelli economici, per le fotocamere compatte, sopravvissero approssimativamente fino al 1980. Tuttavia per tutti gli anni '70 molte fotocamere professionali, quali ad esempio la Olympus OM-2 e la Hasselblad 500 CM, offrivano ancora la sincronizzazione per le lampade lampo.
definizione
lampada lampo a tubo, con zoccolo in vetro
misure
altezza: 4,5 cm ca.; diametro: 1,1 cm ca.
materiali
vetro; plastica; cartoncino
acquisizione
De Sigis, Sergio (1997)
iscrizioni
FB 1b (documentaria)
settore
Fotocinematografia
bibliografia
Hedgecoe J., Fotografare : tecnica e arte, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 1976
tipologia
lampada lampo
scheda ICCD
PST