Pannelli di controllo della stazione spaziale Almaz
1970 - 1990
inventario
D-1368
collocazione
M2/ iLab Base Marte
descrizione
Set composto da tre piccoli pannelli modulari facenti parte del quadro di controllo e governo della stazione spaziale sovietica Almaz la versione militare della Salijut.
Non è nota la loro funzione esatta ma su uno di essi, in russo, si può riconoscere la scritta "telecamera"; sono presenti varie sigle.
Uno dei tre moduli è costituito da 18 pulsanti numerati da 1 a 14 e da quattro pulsanti senza alcuna scritta (probabilmente non attivati); si tratta di attuatori mutuamente esclusivi: quelli con i numeri dispari forniscono il comando previsto mentre quelli con i numeri pari lo annullano.
Gli altri due moduli sono pannelli di segnalazione a matrice e sono costruttivamente simili fra loro (ma non identici) essendo composti, ciascuno, da 27 indicatori luminosi di forma rettangolare; alcuni riportano incisi dei numeri, altri delle scritte e delle sigle tecniche, altri ancora sono semplicemente colorati di rosso o di blu. Erano dedicati al controllo della funzionalità di specifici apparati di bordo o, più in generale, a fornire indicazioni sullo stato di vari sistemi. Sul retro è posizionata un'etichetta metallica con riportate le specifiche tecniche e, forse, quello che è un numero di inventario.
Ogni singolo modulo è dotato di fori perimetrali; grazie ad essi è possibile fissarli nel pannello di controllo generale del quale fanno parte. Come spesso accade in ambito aerospaziale, anche in questo caso è stata adottata la comoda strategia dell'assemblaggio modulare che facilita la costruzione, la gestione e la manutenzione dei vari apparati.
La stazione spaziale Almaz, parola che in russo significa "diamante", venne sviluppata dall'Unione Sovietica come versione militare e segreta della stazione spaziale ad uso civile Saljut (nota anche come DOS, Durable Orbital Station) il cui primo esemplare, la Saljut 1, lanciata il 19 aprile 1971, fu la prima stazione spaziale della storia.
Quando al culmine della Guerra Fredda, negli anni Sessanta, si cominciò ad avere la possibilità di mandare esseri umani nello spazio si presentò immediatamente la questione legata al ruolo militare dei veicoli spaziali pilotati. Inizialmente i progettisti, sia americani sia sovietici, presero in considerazione un'ampia varietà di possibilità, inclusi bombardieri orbitali e intercettori; tuttavia, alla fine, i sistemi automatizzati si rivelarono i mezzi più economici e affidabili per dispiegare armi nello spazio.
Nonostante questo, la possibilità di avere in orbita occhi e cervelli umani era considerato da molti un'arma strategica ineguagliabile da mettere a disposizione dell'intelligence. I sostenitori dello spionaggio spaziale svolto da equipaggio umano sostenevano, infatti, che la presenza di persone in orbita terrestre, dotate di potenti strumenti di ricognizione, avrebbe permesso un'attenta selezione degli obiettivi e una eventuale rapida reazione agli sviluppi in corso su un ipotetico campo di battaglia.
Il 12 ottobre 1964 il capo progettista Vladimir Chelomei, ucraino, annunciò ufficialmente l'inizio dello sviluppo della Stazione Orbitale Pilotata (OPS, Orbital Piloted Station) cui venne assegnato il nome in codice Almaz.
Tra il 1973 ed il 1976 furono messe in orbita dai sovietici ben tre stazioni con a bordo personale militare la OPS-1 (o Almaz 1), la OPS-2 (o Almaz 2) e la OPS-3 (o Almaz 3); per nascondere la natura militare dei lanci, vennero dichiarate come facenti parte del programma civile Saljut e battezzate con il nome di circostanza Saljut 2, Saljut 3 e Saljut 5 rispettivamente.
Mentre la Almaz 1 ebbe un problema durante la fase di lancio e fallì la messa in orbita le altre due missioni furono coronate da pieno successo.
Dopo il lancio della terza Almaz, la Saljut 5, il Ministero della Difesa sovietico si trovò a decidere se proseguire con il progetto. Nonostante i due recenti successi conseguiti l'utilizzo di stazioni spaziali per fini di spionaggio si rivelò, di fatto, una strategia superata visto che nel frattempo si erano resi disponibili satelliti spia di più facile costruzione e gestione; il programma Almaz venne quindi definitivamente terminato.
L'esperienza acquisita con il programma Saljut/Almaz lasciò però una importantissima eredità che trovò applicazione nella realizzazione della successiva stazione spaziale sovietica Mir e poi nella Stazione Spaziale Internazionale della quale il primo modulo ad essere messo in orbita fu proprio il sovietico Zarja.
Non è nota la loro funzione esatta ma su uno di essi, in russo, si può riconoscere la scritta "telecamera"; sono presenti varie sigle.
Uno dei tre moduli è costituito da 18 pulsanti numerati da 1 a 14 e da quattro pulsanti senza alcuna scritta (probabilmente non attivati); si tratta di attuatori mutuamente esclusivi: quelli con i numeri dispari forniscono il comando previsto mentre quelli con i numeri pari lo annullano.
Gli altri due moduli sono pannelli di segnalazione a matrice e sono costruttivamente simili fra loro (ma non identici) essendo composti, ciascuno, da 27 indicatori luminosi di forma rettangolare; alcuni riportano incisi dei numeri, altri delle scritte e delle sigle tecniche, altri ancora sono semplicemente colorati di rosso o di blu. Erano dedicati al controllo della funzionalità di specifici apparati di bordo o, più in generale, a fornire indicazioni sullo stato di vari sistemi. Sul retro è posizionata un'etichetta metallica con riportate le specifiche tecniche e, forse, quello che è un numero di inventario.
Ogni singolo modulo è dotato di fori perimetrali; grazie ad essi è possibile fissarli nel pannello di controllo generale del quale fanno parte. Come spesso accade in ambito aerospaziale, anche in questo caso è stata adottata la comoda strategia dell'assemblaggio modulare che facilita la costruzione, la gestione e la manutenzione dei vari apparati.
La stazione spaziale Almaz, parola che in russo significa "diamante", venne sviluppata dall'Unione Sovietica come versione militare e segreta della stazione spaziale ad uso civile Saljut (nota anche come DOS, Durable Orbital Station) il cui primo esemplare, la Saljut 1, lanciata il 19 aprile 1971, fu la prima stazione spaziale della storia.
Quando al culmine della Guerra Fredda, negli anni Sessanta, si cominciò ad avere la possibilità di mandare esseri umani nello spazio si presentò immediatamente la questione legata al ruolo militare dei veicoli spaziali pilotati. Inizialmente i progettisti, sia americani sia sovietici, presero in considerazione un'ampia varietà di possibilità, inclusi bombardieri orbitali e intercettori; tuttavia, alla fine, i sistemi automatizzati si rivelarono i mezzi più economici e affidabili per dispiegare armi nello spazio.
Nonostante questo, la possibilità di avere in orbita occhi e cervelli umani era considerato da molti un'arma strategica ineguagliabile da mettere a disposizione dell'intelligence. I sostenitori dello spionaggio spaziale svolto da equipaggio umano sostenevano, infatti, che la presenza di persone in orbita terrestre, dotate di potenti strumenti di ricognizione, avrebbe permesso un'attenta selezione degli obiettivi e una eventuale rapida reazione agli sviluppi in corso su un ipotetico campo di battaglia.
Il 12 ottobre 1964 il capo progettista Vladimir Chelomei, ucraino, annunciò ufficialmente l'inizio dello sviluppo della Stazione Orbitale Pilotata (OPS, Orbital Piloted Station) cui venne assegnato il nome in codice Almaz.
Tra il 1973 ed il 1976 furono messe in orbita dai sovietici ben tre stazioni con a bordo personale militare la OPS-1 (o Almaz 1), la OPS-2 (o Almaz 2) e la OPS-3 (o Almaz 3); per nascondere la natura militare dei lanci, vennero dichiarate come facenti parte del programma civile Saljut e battezzate con il nome di circostanza Saljut 2, Saljut 3 e Saljut 5 rispettivamente.
Mentre la Almaz 1 ebbe un problema durante la fase di lancio e fallì la messa in orbita le altre due missioni furono coronate da pieno successo.
Dopo il lancio della terza Almaz, la Saljut 5, il Ministero della Difesa sovietico si trovò a decidere se proseguire con il progetto. Nonostante i due recenti successi conseguiti l'utilizzo di stazioni spaziali per fini di spionaggio si rivelò, di fatto, una strategia superata visto che nel frattempo si erano resi disponibili satelliti spia di più facile costruzione e gestione; il programma Almaz venne quindi definitivamente terminato.
L'esperienza acquisita con il programma Saljut/Almaz lasciò però una importantissima eredità che trovò applicazione nella realizzazione della successiva stazione spaziale sovietica Mir e poi nella Stazione Spaziale Internazionale della quale il primo modulo ad essere messo in orbita fu proprio il sovietico Zarja.
definizione
pannelli di controllo per stazione spaziale
acquisizione
Spada, Antonio Benedetto (2014/03/25)
settore
Spazio
tipologia
pannelli di controllo
scheda ICCD
PST